Il Senato Accademico dell'Università di Palermo, già più volte e da ultimo nella seduta del 22 settembre 2010, aveva con chiarezza individuato i punti di maggiore criticità del DDL di Riforma del sistema universitario evidenziando in particolare che:
• il sistema di governance proposto accentrerebbe eccessivi poteri decisionali nei vertici accademici ed in un Consiglio di Amministrazione dalla composizione numerica troppo esigua; inoltre la presenza di almeno tre componenti esterni all'università nella compagine del CdA induce fondate preoccupazioni su improprie ingerenze nella gestione degli Atenei, mentre la rappresentanza gli studenti e del Personale Tecnico-amministrativo diventerà del tutto residuale;
• l’incertezza normativa associata alla rivisitazione della strutturazione degli Atenei in Dipartimenti (che vengono identificati come sedi primarie di gestione della didattica) e Scuole introduce ulteriori elementi di disagio e rischia di creare un lungo e confuso transitorio prima che si possa pervenire ad un'organica attribuzione di compiti e definizione di procedure;
• l'introduzione del Ricercatore a Tempo Determinato, in assenza di un limite alla durata complessiva dei contratti pre-ruolo, di un meccanismo di vera tenure-track ed in un contesto economico caratterizzato da ridottissimi investimenti dell'industria nel sistema della ricerca e dell'innovazione, allargherebbe oltre ogni limite il fenomeno del precariato dei giovani studiosi, contribuendo in maniera determinante alla più volte esecrata "fuga dei cervelli";
• la vaghezza delle norme concernenti il "Fondo per il merito" (totalmente demandate a successivi decreti di natura non regolamentare), unitamente alla incerta consistenza finanziaria e alla previsione della necessaria restituzione delle somme erogate, pongono seri dubbi sulla possibilità di rendere effettivo il diritto allo studio, come sancito dalla Costituzione Italiana (art. 34);
• operare ex-post l'istituto dell'accreditamento delle sedi e dei corsi di studio da una parte esporrebbe gli studenti ad un elevato livello di aleatorietà sulla spendibilità dei titoli conseguiti e dall'altro finirebbe con l'accrescere il divario tra università operanti nelle regioni più ricche del paese e quelle dislocate nelle aree economicamente depresse, a partire ovviamente dal meridione d'Italia;
• l’assenza di meccanismi perequativi nel sistema di valutazione degli Atenei, che appare deliberatamente orientato alla definizione di un sistema universitario a due velocità piuttosto che al necessario miglioramento complessivo dell'offerta formativa e della capacità di ricerca e innovazione del complesso degli Atenei italiani, consoliderebbe di fatto un trasferimento di risorse dagli Atenei del Sud verso quelli operanti in aree più ricche con conseguenze esiziali per i primi.